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270 xvii - rime varie o di dubbia autenticitá

     sovente io m’odo drieto sussurrare:
— Quant’è dal primier suo esser mutato
questo meschin, per crudel donna amare! — 105
     Non rispondo, anzi vergognoso guato
a terra, come chi talvolta intende
quel che a ciascun credea esser celato.
     La tua impietá te stessa e me riprende,
che, non ben tua, tua bellezza accompagna,110
ed al mio buon servir mal cambio rende.
     Né per ciò mai il cor di te si lagna,
né si dorrá sino all’estremo punto,
ma ben vorrebbe, e perciò il volto bagna.
     Teco m’avessi il ciel, donna, congiunto115
in matrimonio: ah! che pria non venisti
al mondo, o io non son piú tardo giunto?
     Ché gli occhi, co’ quai pria tu il core apristi,
ben mille volte arei baciato il giorno,
scacciando i van sospiri e’ pensier tristi.120
     Ma questo van pensiero a che soggiorno?
se tu pur dianzi, ed io fui un tempo avanti
dal laccio coniugal legato intorno,
     qual sol morte convien che scioglia o schianti.
Puoi ben volendo, e te ne prego e stringo,125
che un cor, un sol voler sia tra due amanti.
     Ben t’accorgi, madonna, che non fingo
pianti, sospiri o le parole ardente;
ma come Amor la detta, io la dipingo.
     Occhi belli, anzi stelle luciente,130
o parole suavi, accorte e sagge,
man decor, che toccar vorrei sovente,
     Amor è quel che a voi pregar mi tragge:
non sia, madonna, il mio servire in vano,
né invan la mia speranza in terra cagge.135
     Tu hai la vita e la mia morte in mano;
vivo contento s’io ti parlo un poco;
se non, morte me ancide a mano a mano.