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di cristoforo colombo 117

terra e li porti, quali per divina volontà guadagnati aveva a Spagna, sudando sangue?

Torno alli navigli che la fortuna grande levati mi aveva, quali quando a Dio piacque me li restituitte. Il naviglio innavicabile avealo posto in mare, per scampare fin alla isola Galliega chiamata; il qual perse la barca e ancora gran parte delle vittualie. Quello nel quale io andava era travagliato a gran maraviglia: Iddio, per sua pietà, che non avei alcun danno, lo fece salvo. In quello sospettoso era mio fratello, il quale, dopo di Dio, fu suo remedio. Con questa fortuna così in gallone mi andai appresso Ianaica, e quivi si mutò di alto mare in calma e gran corrente, e mi menò fino al Giardin della Regina, senza mai vedere terra: e di qui quando puotti navicai alla terra ferma, dove mi si incontrò corrente terribile e vento all’opposito, con quali combattetti con loro giorni 60: in fine non puotti guadagnarli altro, che leghe 70, che sono miglia 350; perchè una lega per acqua è miglia cinque, è per terra quattro; dunque ogni fiata, lettore, che trovarai leghe, cavarai per discrezione quanti miglia saranno.

In tutto questo tempo non puotti intrare in porto, nè mai mi lassò fortuna del mare, nè acqua dal cielo, e troni, e folgori continuamente, che pareva essere il fine del mondo. Andai al fine, e ringraziai Iddio, il quale di qui mi dette prospero vento, e corrente, questo fu a’ 12 dì di settembre. Erano passati ottantaotto dì, che non mi avea la terribile fortuna mai abbandonato, talmente che nè sole, nè stelle, nè altro pianeta in tutto quello tempo conobbero gli occhi miei: li navigli mi aveva aperti, le vele rotte, e perse ancore e sarte, e barche, e ogni fornimento; la gente molto inferma, e tutta contrita, e molti con voti di santa religione, e non nissuno senza altro