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8 i - versi

il vin giocondo che vigore apporta),
25ella s’assise a l’ombra e, come uscito
fosti del suo grand’alvo, ti ripose
su le ginocchia assai piangendo, e preghi
porse a la Terra e a lo stellato Cielo:
— O Terra veneranda, o Cielo padre,
30deh riguardate a me, se pure è vero
che di voi nacqui, e questo figlio mio
da l'ira di Saturno astuto nume
or mi salvate, sí ch’egli nol veda,
e questi ben ricresca e venga adulto. —
35Cosí pregava Rea di belle chiome,
poi che per te, di fresco nato, in core2
sentia gran téma: e per gli eccelsi monti
ed il profondo mare errando giva
l’eco romoreggiante. Udilla il Cielo
40e la feconda Terra, e nera notte
venne sul bosco, e si sedé sul monte.
Ammutarono a un tratto e sbigottîro
i volatori de la selva, e intorno
con l’ali stese s’aggirâr vicino
45al basso suol. Ma t’accogliea ben tosto3
la diva Terra fra sue grandi braccia;
né Saturno il sapea, ché nera notte
era su la montagna. E tu crescevi,
re dal tridente d’oro, ed in robusta
50giovinezza venivi. Allor che voi
di Rea leggiadra figli e di Saturno,
tutto fra voi partiste; ebbesi Giove,
che i nembi aduna, lo stellato cielo;
il mar ceruleo tu; s’ebbe Plutone
55de l’Averno le tenebre. Ma tutti
tu, de la terra scotitor, vincevi,
salvo Giove e Minerva. E chi potrebbe
con l’Olimpio cozzare impunemente?
Il cielo tu lasciasti, e teco il figlio