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detto innanzi. Nato il qual desiderio e amore, che secondo natura, non sarebbe potuto nascere; e stando la infelicità generata dall’ alterazione nostra, e non voluta dalla natura ; saria manifesta repugnanza e contraddizione, che ancora avesse luogo il divieto naturale di uccidersi. Questo pare 5 a me che basti, quanto a sapere se 1* uccider se stesso sia lecito. Resta se sia utile. PLO. Di cotesto non accade che tu mi parli, Porfirio mio : che quando cotesta azione sia lecita (perché una che non sia giusta né retta non concedo che possa esser di IO utilità), io non ho dubbio nessuno che non sia utilissima. Perché la quistione in somma si riduce a questo: quale delle due cose sia la migliorgt il non patire, o il patire. So ben io che il godere congiunto al patire verisimilmenle sarebbe eletto da quasi tutti gli uomini, piuttosto che il non I 5 patire e anco non godere: tanto è il desiderio, e per cosi dir, la sete, che 1’ animo ha del godimento. Ma la delibe- i razione non cade fra questi termini: perché il godimento e il piacere, a parlar proprio e diritto, è tanto impossibile, quanto il patimento è inevitabile. E dico un patimento cosi 20 continuo, come è continuo il desiderio e il bisogno che abbiamo del godimento e della felicità, il quale non e adempiuto mai : lasciando ancora da un lato i patimenti particolari ed accidentali che intervengono a ciascun uomo, e che sono parimente certi; intendo dire, è certo che ne 25 debbano intervenire (più o meno, e d’ una qualità o d’ altra), eziandio nella più avventurosa vita del mondo. E per verità, un-patimento solo e breve, che la persona fosse certa che, continuando essa a vivere, le dovesse accadere ; saria sufficiente a fare che, secondo ragione, la morte fosse da ante- 30 porre alla vita: perché questo tal patimento non avrebbe compensazione alcuna ; non potendo occorrere nella vita nostra un bene o un diletto vero. — 278 —