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morte si trovano mentovate da Cicerone e da San Girolamo, e sono più divulgate; ma non fanno a proposito. Per queste che abbiamo veduto si risolve che Teofrasto in età di sopra cent’anni; avendola spesa tutta a studiare e scrivere, e servire indefessamente alla fama; ridotto, come dice Suida, all’ultimo della vita per l’assiduità medesima dello scrivere; circondato da forse due mila discepoli, ch’è quanto dire seguaci e predicatori delle sue dottrine; riverito e magnificato per la sapienza da tutta la Grecia, moriva, diciamo così penitente della gloria, come poi Bruto della virtù. Le quali due voci, gloria e virtù, non veramente oggi, ma fra gli antichi sonavano appresso a poco il medesimo. E però Teofrasto non seguitò dicendo che la stessa gloria le più volte è opera della fortuna piuttosto che del valore; il che non si poteva dire anticamente così bene come oggidì: ma se Teofrasto l’avesse potuto aggiungere, non mancava al suo concetto nessuna parte, che non fosse ragguagliatissimo a quello di Bruto.

Questi tali rinnegamenti e, come dire,