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non rileva; né io ve ne voglio dir altro, fuggendo, come dice Luciano, «il visco di questa faccenda», perocché non posso credere che non vi siate accorto ch’io parlo volentieri di me medesimo, e come son facile a cominciare questo discorso e difficile a finirlo. Basterá che sappiate che quelle osservazioni ch’io feci allora e scrissi, che il Mai vide, non faranno appena un terzo di queste che ora vi scriverò, e le altre le ho fatte poi rileggendo le reliquie frontoniane in diverse occasioni. Né dovrá parere intempestivo questo mio scrivervi sopra una scoperta pubblicata giá da due anni e piú, se non si credono intempestive le fatiche dei moderni sopra gli scrittori classici ritrovati nel quattrocento o prima, e se non è intempestivo quello eh’è maturo; e il maturare par proprio del tempo. Entrando dunque in materia, la prima cosa, recherò un passo di Claudiano Mamerto, scrittore, come sapete, del quinto secolo; il qual passo al Mai, quando raccoglieva le testimonianze degli antichi intorno a Frontone, non diede nell’occhio, cosi com’era fuor di mano e sepolto sotto una stipa di controversie ereticali e di cronache di monasteri e di lettere d’abati e di testamenti e di formole e d’atti e di privilegi e d’altri tali orrori. Lo recherò distesamente acciocché vediate parole opposte ai concetti, e in uno stile barbaro buoni consigli e sentenze intorno allo scrivere; onde costui parrebbe di quella gente della quale dice Omero: ch’altro in petto si cela, altro favella: ma in quegl’infelici tempi si peccava molto piú per impotenza che per malizia. Dice dunque ( Epist. ad Sapaudum rhetoretn appresso il Baluzio Miscellatt., edizione di Parigi, t. VI, f. 535; edizione del Mansi, Lucca 1761-1764, t. Ili, f. 27: ma in questa il passo che segue è scorretto): Illud iatn in fine sermottis perquarn familiariter quaeso, ut spretis novitiarum ratiuncularum pueriiibus nugis, nullum lectitandis his tetnpus insumas, quae dunt resonantium sermunculorum taureas rotant, oratoriam fortitudine in plaudentibus concinnentiis evirant. Naevius et P/autus Ubi ad elegantiam. Calo ad gravitatem, Varrò ad peritiam, Graccus ad acrimoniam, Chrysippus ad disciplinam, Fronto ad pompam. Cicero ad eloquentiam capessendam usui sint. Quisquis enim recentiorum aliquid dignum memoria scriplitavit, non et ipse novitios legit. Itti ergo reventilandi me moriaeque mandamii sunt, de quibus isti potuere perficere quos