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ragionamento di isocrate a filippo 213

meglio era comporre quella controversia in qualunque modo, che sostenere i mali di quella guerra.

Preso dunque molto contento della deliberazione del popolo intorno all’accordo, e stimando che ella dovesse tornare in beneficio, non pur nostro, ma tuo ed anco di tutti i greci, non potendo io sviare il pensiero delle cose dipendenti da tale accordo, subito mi volsi a speculare in che modo potessimo noi mantenere la pace fatta, e come dopo picciolo tempo la nostra cittá non entrasse in appetito di nuove guerre. E considerando a parte a parte, io trovava che in niuna guisa ella non poteva posare, se non quando le maggiori cittá della Grecia pigliassero partito di comporre tra loro ogni differenza e trasferire la guerra in Asia, e quivi dai barbari procacciare per forza quegli avvantaggi e quei comodi che elle procacciano ora dai greci: le quali cose trovomi aver consigliate nel Panegirico. Con questi pensieri, giudicando non si potere mai trovare materia piú bella, né che a tutti noi piú comunemente di questa si appartenesse, né di nostra utilitá maggiore, mi commossi a volerne scrivere un’altra volta, con tutto che io non fossi giá in niuna cosa malconoscente di mio stato e di mie facoltá, e mi avvedessi bene che egli si richiederebbe a tale ragionamento un uomo, non dell’etá mia, ma in sul fiore degli anni, e oltracciò di natura infra gli altri molto eccellente; e ancora mi avvisassi che a gran fatica può la persona scrivere in una stessa maniera due orazioni per modo che gli uomini le comportino; maggiormente, accadendo che quella divulgata prima sia scritta con tale artificio e stile che anco gl’invidiosi dello scrittore la imitino, e ne abbiano piú maraviglia che non hanno eziandio quelli che la lodano a cielo. Ma nientedimeno io, messe tutte queste difficoltá in non cale, sono in questa mia vecchia etá divenuto cosí baldanzoso, che io ho proposto di volere ragionando teco, in quel medesimo tempo accennare e far palese a quelli che meco hanno praticato per causa di studi, che lo andare noiando la moltitudine ragunata colla occasione delle feste o solennitá, e favellare in comune a tutti quelli che vi concorrono, è un