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vii. alla primavera | 33 |
20Vivi tu, vivi, o santa
natura? vivi e il dissueto orecchio
della materna voce il suono accoglie?
Giá di candide ninfe i rivi albergo,
placido albergo e specchio
25furo i liquidi fonti. Arcane danze
d’immortal piede i ruinosi gioghi
scossero e l’ardue selve (oggi romito
nido de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre
meridiane incerte ed al fiorito
30margo adducea de’ fiumi
le sitibonde agnelle, arguto carme
sonar d’agresti Pani
udí lungo le ripe; e tremar l’onda
vide, e stupí, che non palese al guardo
35la faretrata Diva
scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda
polve tergea della sanguigna caccia
il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l’erbe,
40vissero i boschi un dí. Conscie le molli
aure, le nubi e la titania lampa
fur dell’umana gente, allor che ignuda
te per le piagge e i colli,
ciprigna luce, alla deserta notte
45con gli occhi intenti il viator seguendo,
te compagna alla via, te de’ mortali
pensosa immaginò. Che se gl’impuri
cittadini consorzi e le fatali
ire fuggendo e l’onte,
50gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime
selve remoto accolse,
viva fiamma agitar l’esangui vene,
spirar le foglie, e palpitar segreta
nel doloroso amplesso