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Capitolo XVIII.


Gli orsi grigi.


La notte non fu affatto tranquilla, poichè i lupi, quantunque avessero subìta una vera rotta, non tardarono a tornare e a fare un concerto così assordante e spaventevole, che i poveri accampati non poterono chiudere occhio.

Invano l’indian-agent ed anche Harry si erano provati ad allontanarli con qualche colpo di fucile.

Scappavano, e dopo cinque minuti tornavano a piccoli drappelli, ricominciando ad ululare con maggior lena e tentando anche qualche attacco.

Se ci fosse stato un buon fuoco, le ostinate e pericolose bestiacce nulla avrebbero osato, ma la prudenza aveva consigliato gli avventurieri a farne a meno, quantunque ne sentissero un vivo desiderio con quel po’ po’ di tramontana che soffiava attraverso le sterminate pianure del Dominio Inglese, e che nessuna catena di montagne arrestava, non essendovene di notevoli nè nel Nebraska, nè nel Dakota.

Il sole mise finalmente in fuga quegli arrabbiati concertisti.

Fu preparata la colazione a base di pemmican, che non soddisfece nessuno, e meno di tutti l’inglese, il quale esigeva delle costolette sanguinanti a qualunque animale appartenessero.

Alle sette, gli avventurieri si rimettevano finalmente in marcia colla speranza di raggiungere prima del calare del sole le rive del Missuri, il gigantesco affluente del Mississipì.

Le tracce lasciate dagl’indiani erano sempre visibilissime, continuando lo strato di neve.

Fuggivano, dirette verso il settentrione, le ultime Selve Ardenti, per cercare un rifugio tranquillo nel vastissimo Dominio Inglese, ricchissimo di selvaggina, quantunque assai più freddo del Nebraska e delle praterie basse.