Pagina:Le murate di Firenze, ossia, la casa della depravazione e della morte.djvu/76


— 73 —

CAPITOLO XXIX.

Quinta veduta.

Nella quinta stanza stava seduto, accanto a un tavolino, un vecchietto asciutto, adusto, allampanato, sdiridito, il quale con in bocca un risolino da imbecille, gongolava e si struggeva in guardare un mucchietto di monete d’oro che aveva dinanzi. Stropicciavasi le mani, assottigliava le labbra, dava di spallette tragittandosi in mille guise, e di tanto in tanto prendeva in mano una di quelle monete, la osservava per ogni verso, e postala in vetta all’indice o al medio della destra mano ne bilanciava il peso, e soddisfatto la posava per prenderne un’altra e in simil modo sperimentarla. In tutte le sue mosse, in tutta la sua espressione era veramente ridicolo; in fronte aveva scritto — Il cacaciano.

— Questo palo in pelliccia, diss’io al genio, non deve essere un soggettaccio così perverso, come quelli che abbiamo fin qui veduti; m’ha l’aria di un barbalacchio, di un pascibietole; ditemi se m’apposi al vero.

— Non andasti errato: è un vero gocciolone, un imbecille cacastecchi tanto vano scempiato e sciocco da non potersi dire. Ha per moglie una lupa insatollabile, inesplebile, una vera e sguaiata sgualdrina, la quale facendo profitto della di lui balordaggine, sovente si finge indisposta o malata, e manda il marito istesso in cerca del di lei bertone, che è di professione medico.

Il cacaciano presta volentieri un tal servizio alla moglie, perchè lontano da sospetti, e più ancora per-