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— Sì, ma si son mangiati l’anima i disgraziati! I tuoi nemici non han conosciuta ancora la tempra dell'anima che ti vive in petto; essi avvisarono che un carcere così lungo o t'avrebbe morto, o fatto impazzare, o spinto a qualche eccesso. Ebbene, ora ti vedranno vivo sano e svelto, e la cristiana rassegnazione, la coraggiosa fermezza, colla quale hai sopportato non solo il carcere, ma una persecuzione la più disonesta, svergognata e bestiale, li persuaderà che le anime generose e cristiane non si lasciano abbatter mai dalle avversità: sono i vigliacchi, gli iniqui che si abbiosciano al primo soffio di vento contrario, si disanimano e disperano quante volte la sventura li preme, il dolore li affligge. Tu non fosti e non sarai mai un vile, le tue azioni lo dimostrarono prima, il tuo carcere lo ha confermato ora         .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .         .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        .        . Due giorni dopo io era dallo stampatore col sogno già rivedute; ne fissai la stampa e fu stampato.

Ora leggi e giudica se l’amico nostro dovesse poi tanto peritarsi di far pubblici i suoi scritti. Io non sono in grado di farla da giudice in materia di letteratura, ma non so persuadermi che a me abbia a parer bello, e piacer molto, quel che altri vede brutto e cattivo. Non dirò che il modo di scrivere del nostro amico sia netto da ogni vizio, dirò solo che le belle frasi del fiorito nostro idioma non gli sono sconosciute; e quando una giusta e ragionata critica di qualche suo scritto lo richiamasse a più stretta osservanza delle sane leggi estetiche e filologiche, io son d’avviso che gli scritti scritti di questo giovane potessero presto esser letti con piacere, anche dagl'amatori di belle lettere.