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in moltiplici sue pubblicazioni archeologiche, dando alla luce più spezzati di tali nummi, peculiarmente il quincunce, ed il sestante di tale classe, divenuta ogni dì più importante, ed usando l’inalterabile sua diligenza, nell’osservarne la provvenienza da Lucera, o suoi dintorni1.

Ne estendevano lo studio e la importanza pel numero e per la varietà, in apposito articolo, gli autori chiarissimi dell’Aes grave del Museo Kircheriano. Essi misero in rassegna tutte quelle conservate nel loro ricchissimo medagliere2. Ma fecer dippiù, attribuendo a via di giusti raffronti, alla stessa Dauna città, tutti gli assi gettati di altra classe più pesante, e senza la iniziale della zecca, che conservavano emblemi affatto simili a quelli più piccoli insigniti dell’ arcaico3.

Scoverta importantissima che allargò i confini della numismatica lucerina, e che fece rimontare ad epoca assai remota la sua zecca autonoma, ossia municipale ed indipendente4; e rifermare talune opinioni sulle origini di questa città, ravvolte, come tante altre, nel velo della favola e del mistero.

Sfuggì per altro alle loro dotte ricerche una grande discoperta, e crediamo a noi doversi il merito di averla fatta, cioè del semisse gettato insignito dell’ arcaico, e del peso once due meno una terza, corrispondenza esatta colla classe delle medaglie di tale iniziale fornita. Con esso si rimove quella grave difficoltà, tuttora sussistente, e si decide la contestazione del preteso asse decimale attribuito ad Atri, ed altre città della media Italia, dalle quali si volevano i Lucerni discendenti. Semisse che ritennero anche sotto i romani con tipi cittadini e di bellissimo stile, come il continuaron di poi con tipi romani pienamente, siccome sarà per noi dimostrato più sotto, malgrado l’esistenza ne’ due primi casi del corrispondente pentobulo o quincunx.

Essi però possedevano il semisse gettato, e per una di quelle trascuranze inevitabili nella diversità delle ricerche in siffatti studi, lo pubblicarono come romano incerto, mentre nella illustrazione fan parola dell’ arcaico a dritta della prora di nave, e quando già le consimili monete di quella iniziale fornite eransi attribuite a Lucera5. Noi soli possediamo il bellissimo coniato, di sì ottimo stile, che potrebbe reputarsi della Magna Grecia.

  1. AvellinoItaliae Veteris numismata, Supp. pag. 23. — Real Museo Borbonico Vol. III. tav. 22. fig. 6. — Opuscoli Tom. 3. pag. 114. 115. e 322. Osservazioni sull’Aes grave del museo Kircheriano. Foglio settimanile n.° 32. pag. 353.— Bullettino archeologico napoletano anno III. n.° 2. pag. 15. sull’opera di Riccio: Le monete delle fam. rom.; e medesimo anno pag. 67. sopra: numi romani Luceriae cusi.
  2. L’Aes grave del museo Kircheriano pag. 114. e tav. IV Clas. IV.
  3. Nel citato luogo.
  4. Municipes sunt (diceva Gellio, Noct. Att. L. XVI. c. 13.) cives R. legibus suis et suo jure utentes; at coloniae non veniunt extrinsecus in civitatem, nec suis radicibus nituntur, sed ex civitate quasi propagatae sunt, et jura institutaque omnia populi R. non sui arbitrii habent. E chiamavansi numi autonomi quelli, impressi da popoli, e repubbliche libere ed indipendenti — Placuit artis nostrae magistris (dice l’Eckhel, Vol. 1. p. XII.) nummos avtonomos vocare, quos populus, respublica, civitas sic percussit, ut in iis nulla appareant servitutis, aut obsequii indicia.
  5. L’Aes grave ec: fol. 19. e 44. 1.° col.; e Tav. III. B. 2. B.