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— Oh, davvero!» rispose lo schiavo; «sarebbe bella veder il figlio d’un visir, come voi, entrare nella bottega d’un pasticciere per mangiarvi; non crediate ch’io lo voglia permettere. — Aimè, signorino,» sclamò allora Bedreddin, «è una vera crudeltà l’affidare la vostra custodia ad un uomo che vi tratta con tanta durezza.» Poi, volgendosi all’eunuco: «Mio buon amico,» soggiunse, «non vietate a questo giovinetto di accordarmi la grazia ch’io gli domando: non mi date tal dispiacere. Fatemi piuttosto l’onore di entrare con lui in casa mia; e così dimostrerete che se siete bruno di fuori come la castagna, siete pure bianco di dentro come quella. Non sapete,» proseguì poscia, «che posseggo il segreto di rendervi bianco, di nero che siete?» L’eunuco si mise a ridere a quelle parole, e domandò a Bedreddin qual segreto fosse. — Sono ad insegnarvelo,» rispose l’altro. E tosto gli recitò alcuni versi in lode degli eunuchi negri, dicendo essere pel ministero loro che veniva assicurato l’onore dei sultani, dei principi e di tutti i grandi. Fu l’eunuco incantato di quei versi; e cessando di opporsi alle preghiere di Bedreddin, lasciò entrare nella bottega Agib, e vi entrò anch’egli.

«Provò Hassan estrema gioia di aver conseguito il suo intento, e tornando all’interrotto lavoro: — Stava facendo,» disse, «torte di crema; bisogna che vi degniate di assaggiarne, e son persuaso che le troverete eccellenti; poichè mia madre, che le sa fare a perfezione, m’insegnò ad impastarle, e vengono a prenderne da me da tutte le parti della città.» Ciò detto, cavò una torta dal forno, ed aspersala di granelli di melagrano e di zucchero, la pose davanti ad Agib, che la trovò deliziosa. L’eunuco, a cui pure Bedreddin ne presentò, diede il medesimo giudizio.

«Mentre mangiavano, Bedreddin esaminava Agib