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gno della mia tenerezza.» Sì dicendo, finì di spogliarsi, e si pose a letto. Da parte sua, Bedreddin Hassan, giubilante di vedersi possessore di tante attrattive, spogliossi prontamente, e pose le vesti sopra una sedia, addosso alla borsa datagli dall’Ebreo, la quale, ad onta di quanto ne aveva estratto, era ancora piena. Si levò quindi il turbante per prenderne un altro stato già preparato pel gobbo, ed andò a coricarsi in camicia e mutande (1); erano mutande di raso turchino, attaccate con un cordone tessuto d’oro...»

L’aurora che facevasi vedere, obbligò Scheherazade al silenzio. La notte appresso, svegliatasi alla solita ora, continuò la storia in questi sensi:


NOTTE CIV


— «Addormentati che furono i due amanti,» proseguì il gran visir Giafar, «il genio, il quale aveva raggiunto la fata, le disse esser tempo di finire quanto avevano sì ben incominciato e ben condotto fin allora. — Non lasciamoci sorprendere,» sogginnse, «dalla luce del giorno, che presto apparirà; andate a rapire il giovane senza svegliarlo. —

«Si recò la fata nella camera degli amanti, che dormivano profondamente, levò Bedreddin Hassan nello stato in cui era, cioè in mutande e camicia, e volando unitamente al genio con meravigliosa celerità fino alle porte di Damasco, in Siria, vi giunsero precisamente nel punto che i ministri delle moschee, a tale funzione preposti, chiamavano ad alta voce il

  1. Tutti gli Orientali dormono in mutande: questa circostanza è necessaria per l’intelligenza del seguito del racconto.