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capitolo decimosecondo. 57

segno di gran turbamento; la loro forza, il loro amore stavano così profondi nel cuore, che alle sembianze non ne giungeva che un riflesso fioco e lontano. La madre Redenta cercava fra le folte siepaje delle sue ciglia un traforo per cui spiare senz’essere osservata; le sue orecchie vigilavano così spalancate, che avrebbero sentito volare una mosca all’altro capo della stanza.

— Clara, — cominciò a dire Lucilio con voce forse più commossa ch’ei non voleva. — Clara, io vengo dopo un lunghissimo tempo a ricordarvi quello che mi avete promesso; credo che anche per voi come per me questi lunghi anni non saranno stati che un sol giorno di aspettazione. Ora nessun ostacolo si oppone ai desiderii del cuor nostro; non più coll’impazienza e colla sbadataggine della giovinezza, ma col senno afforzato, e col proposito immutabile dell’età matura, io domando che mi ripetiate con una parola la promessa di felicità che mi avete fatta al cospetto del Cielo. Nè volontà di parenti, nè tirannia di leggi, nè convenienza sociale impediscono più la vostra libertà o la mia delicatezza. Io vi offro un cuore, pieno d’un solo affetto, acceso tutto d’una fiamma che non morrà mai più, e provato e riprovato dal lavoro, dalla pazienza, dalla sventura. Clara, guardatemi in volto. Quando è che sarete mia?... —

La donzella tremò da capo a piedi, ma fu un attimo; ella appoggiò sul petto una mano che contrastava pallidissima colla nera tonaca delle novizie, e alzò nel volto di Lucilio uno sguardo lungo e misterioso, che pareva cercasse traverso ad ogni cosa la speranza del cielo.

— Lucilio, — rispose ella premendo alquanto quella mano sul cuore, — io ho giurato innanzi a Dio di amarvi, ho giurato nel mio cuore di farvi felice per quanto starà in me. È vero: me ne sovvengo sempre, e mi adopero sempre perchè le mie promesse abbiano quel mag-