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canute le fronti, più le orme loro trapassano rapide e leggiere. È il passo dell’ombra, che diventa gigante nell’appressarsi al tramonto. — Addio atrii lucenti, giardini incantati, preludii armoniosi della vita!.... Addio verdi campagne, piene di erranti sentieri, di pose meditabonde, di bellezze infinite, e di luce, e di libertà, e di canto d’augelli! Addio primo nido dell’infanzia, case vaste ed operose, grandi a noi fanciulli, come il mondo agli uomini, dove ci fu diletto il lavoro degli altri, dove l’angelo custode vegliava i nostri sonni consolandoli di mille visioni incantevoli! Eravamo contenti senza fatica, felici senza saperlo; e il cipiglio del maestro, o i rimbrotti dell’aja erano le sole rughe che portasse in fronte il nostro destino! L’universo finiva al muricciuolo del cortile; là dentro se non era la pienezza d’ogni beatitudine, almeno i desiderii si moderavano, e l’ingiustizia prendeva un contegno così fanciullesco, che il giorno dopo se ne rideva come d’una burla. I vecchi servitori, il prete grave e sereno, i parenti arcigni e misteriosi, le fantesche volubili e ciarliere, i rissosi compagni, le fanciullette vivaci petulanti e lusinghiere, ci passavano dinanzi come le apparizioni d’una lanterna magica. Si avea paura dei gatti che ruzzavano sotto la credenza, si accarezzava vicino al fuoco il vecchio cane da caccia, e si ammirava il cocchiere quando stregghiava i cavalli senza timore di calci. Per me gli è vero ci fu anche lo spiedo da girare: ma perdono anche allo spiedo, e torrei volentieri di girarlo ancora, per riavere l’innocente felicità d’una di quelle sere beate, fra le ginocchia di Martino, o accanto alla culla della Pisana. Ombre dilette e melanconiche delle persone che amai, voi vivete ancora in me: fedeli alla vecchiaia, voi non fuggite nè il suo seno gelato nè il suo rigido aspetto: vi veggo sempre vagolare a me dintorno come in una nube di pensiero e d’affetto; e scomparir poi lontano lontano nell’iride variopinta della mia giovinezza.