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capitolo ventesimoprimo. 507

poi al non aver preso in ira la Clara, prima di tutto, scusami, ma l’ira è sentimento da ragazzi; io poi non l’ebbi contro di lei, perchè la sua non fu ingiustizia ma allucinazione: ella credeva di amarmi meglio a quel modo, e di procurarmi non un piacer mondano e passeggiero, ma una contentezza celeste ed eterna. Figurati! Doveva anzi essergliene grato. —

Io ammirai la facilità colla quale Lucilio subordinava alla ragione i più fuggevoli e involontari movimenti dell’animo. A forza di costanza e di esercizio, egli governava se stesso come un orologio; e passioni, affetti, pensieri, si aggiravano in quel modo ch’egli avea loro prefisso. Bensì non si poteva dire che egli sentisse fiaccamente; anzi a conoscerlo bene bisognava confessare che soltanto con una pressura quasi sovrannaturale di volontà, egli potea giungere a tener regolate e compresse le passioni che lo agitavano.

Lucilio e la Clara si videro quasi tutte le sere durante quell’inverno, e la conversazione di casa Fratta ebbe più volte a scandalizzarsi delle violente scappate del vecchio dottore. Augusto Cisterna andava dicendo che si dovea perdonargli per la vecchiaia, ma la Clara portava più oltre la tolleranza, affermando che era sempre stato pazzo a quel modo e che Dio lo avrebbe scusato pei suoi buoni motivi. Ella aveva gran cura di non porre gli occhi addosso al dottore, forse perchè così s’era votata di fare uscendo di convento; ma del resto tanta era la semplicità della sua fede e la ingenuità delle maniere, che Lucilio ne sorrideva più di ammirazione che di scherno. Quello che si era mostrato contentissimo di rivedere il dottor Vianello, fu, non ve lo immaginereste mai, il conte Rinaldo. Ma ve ne spiego ora il motivo. Dalle sue diuturne incubazioni sui libri delle biblioteche, era in procinto di nascere qualche cosa: un operone colossale sul commercio di Ve-