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materie prime cogli scali del Levante e della Grecia, ebbe ottimo successo. Aveva messo ogni mia cura nel non arrischiare e nell’allargarmi poco, perchè l’effetto corrispondesse più certo per quanto piccolo. Dopo il primo passo si uscì se non altro da quella profonda sonnolenza. Altre Società si formarono simili alla nostra, e la concorrenza accrescendo l’attività dilatò le sue intraprese, e le arrischiò a maggiori pericoli colla lusinga di più grossi guadagni. Infatti l’esperienza diede ragione il più delle volte a chi spingeva oltre; dalla concorrenza fra noi, che cominciava a inceppare il proficuo sviluppo dei singoli commerci, nacque la fusione di alcune piccole società in altre più grandi. E queste rivaleggiarono coraggiosamente colle più forti e antiche d’altri porti del Mediterraneo. I proventi erano certo minori, e perciò Venezia non potea competere nè con Marsiglia, nè con Genova, nè con Trieste: ma onesti guadagni si ottenevano, e la speranza succedeva all’avvilimento e l’operosità all’inerzia. Sasso lanciato non si sa ove possa giungere: e se gli stranieri non erano ancora adescati dalla prosperità di Venezia a stabilirvisi con i propri capitali, almeno si aveva quanto bastava per muovere e fecondare le forze paesane. Non era molto e sperava di più. Senza contare che cotali intraprese fruttavano alla vecchia ditta Apostulos inusitati guadagni; e Spiro non faceva altro che lodarmi pel grande aiuto che così recava a lui ed all’indipendenza della Grecia.

Il commercio almeno per gli scambi locali aveva ripreso un andamento naturale, e ritrovato a poco a poco il suo sfogo ragionevole nella gran valle del Po. Ma io non voglio farmi merito di cotali successivi allargamenti: come il manovale che si gloriasse della bella architettura d’un palazzo per averne egli gettato la prima pietra. Si generano le grandi imprese come i grandi figliuoli, più per piacere proprio del momento che per diretta intenzione. Io peral-