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52 le confessioni d’un ottuagenario.

nella sala io abbia introdotto i miei personaggi. Cosa naturalissima e risposta facile a darsi! La cucina essendo la dimora abituale del mio amico Martino, e l’unico luogo nel quale potessi stare senza essere sgridato, (in merito forse del buio che mi sottraeva all’attenzione di tutti) fu il più consueto ricovero della mia infanzia; sicchè come il cittadino ripensa con piacere ai passeggi pubblici dov’ebbe i suoi primi trastulli, io invece ho le mie prime memorie contornate dal fumo e dall’oscurità della cucina di Fratta. Là vidi e conobbi i primi uomini; là raccolsi e rimuginai i primi affetti, le prime doglianze, i primi giudizi. Onde avvenne che se la mia vita corse come quella degli altri uomini in vari paesi, in varie stanze, in diverse dimore, i miei sogni invece mi condussero quasi sempre a spaziare nelle cucine. È un ambiente poco poetico, lo so, ma io scrivo per dire la verità, e non per dilettare la gente con fantasie prettamente poetiche. — La Pisana aveva tanto orrore di quel sitaccio scuro, profondo, mal selciato, e dei gatti che lo abitavano, che rade volte vi metteva piede se non per inseguirmi a colpi di bacchetta. Ma la contessina Clara all’incontro non ne mostrava alcun disgusto, e ci veniva quando occorreva senza torcer la bocca o alzar le gonnelle come facevano persino quelle schizzinose delle cameriere. Laonde io gongolava tutto di vederla: e se la chiedeva un bicchier d’acqua ero beato di porgerglielo, e di sentirmi dire graziosamente; — Grazie, Carlino! — Ed io poi mi rintanava in un cantuccino pensando: Oh come son belle queste due parole: Grazie, Carlino! Peccato che la Pisana non me lo abbia mai detto con una vocina così buona e carezzevole!