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capitolo primo. 31


un Franzi, un Tarcentini e un Partistagno furono accusati di fomentare l’inquietudine del paese, e di adoperarsi a volger l’animo delle Comunità in favore dell’Imperatrice. Il Consiglio dei Dieci li fece spiare diligentemente, e n’ebbe che le accuse fatte non erano false. Più di tutti il Partistagno, posto col suo castello quasi sul confine illirico, parteggiava scopertamente per gli imperiali, diceva beffarsi di San Marco, e trincava in fin di mensa a quel giorno che il signor Luogotenente, ripeto le parole del suo brindisi, e gli altri caca in acqua sarebbero stati cacciati a piedi nel sedere di là del Tagliamento. Tutti ridevano di questi augurii, e la baldanza del feudatario era ammirata e imitata, anche come si poteva meglio, dai vassalli e dai castellani all’intorno. A Venezia si tenne Consiglio segreto, e fu deciso che i tre turbolenti fossero citati a Venezia per giustificarsi; ognuno sapeva che le giustificazioni erano la scala più infallibile per salire ai piombi.

Il temuto messer Grande capitò dunque in Friuli con tre lettere sigillate, da disuggellarsi e leggersi ciascheduna in presenza del rispettivo imputato; nelle quali era contenuta la ingiunzione di recarsi ipso facto a Venezia, per rispondere sopra inchieste dell’eccellentissimo Consiglio dei Dieci. Tali ingiunzioni erano solite obbedirsi alla cieca; tanto ai lontani e agli ignoranti appariva ancora formidabile la forza del leone, che era stimato inutile tentar di sfuggirgli. Il messer Grande adunque fece la sua solenne ambasciata al Franzi e al Tarcentini; ambidue i quali chinarano uno per volta il capo, e andarono spontaneamente a porsi nelle segrete degl’Inquisitori. Indi passò colla terza lettera al castello del Partistagno, il quale aveva già saputo dell’umiltà dei compagni e attendeva rispettosamente nella gran sala del pian terreno. Il messer Grande entrò col suo gran robone rosso che spazzava la polvere, e con atto solenne cavata di petto la lettera ed apertala, ne lesse il contenuto.