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capitolo decimo. 493

là dove aveva ricevuto il funesto premio della sua fedeltà. Il contadino gli affondò per tre braccia la buca e poi gli buttò sopra la terra, e credette di aver fornito la bisogna. Ma per mesi e mesi continui bisognò ogni mattino rimettere quella terra al suo posto, perchè il gatto fedele occupava le sue notti a rasparla fuori per riposare ancora sugli avanzi dell’amico. Che cosa volete? io rispettai il dolore di quella bestia, nè mi bastò il cuore di trafugargli quelle spoglie tanto dilette a lui, e così lungamente incomode all’olfato dei castellani. Le feci coprire con una pietra. Allora il gatto vi posò sopra giorno e notte lamentandosi continuamente, e girando intorno al sepolcro con un miagolio melanconico. Là visse ancora qualche mese, e poi morì; e lo so di sicuro perchè non mancai poscia d’informarmi come fosse finita quella tragica amicizia. Diranno poi che i gatti non hanno la loro porzioncella d’anima! Quanto ai cani, la loro fama in proposito è bastevolmente assicurata. Il loro affetto ha posto tra gli affetti familiari; l’ultimo posto certo, ma il più costante. Il primo che fece festa al ritorno del figliuol prodigo scommetto io che fu il cane di casa! E quando mi si gracchia intorno sull’inutilità ed il pericolo di questa numerosa famiglia canina che litiga all’umana il nutrimento, e le inocula talvolta una malattia spaventosa e incurabile, io non posso far a meno di sclamare. — Rispettate i cani! — Forse adesso si può star in bilico, ma forse anche, e Dio non voglia! verrà un tempo che si giudicheranno migliori affatto di noi. Di questi tempi ne furono altre volte nella storia dell’umanità. Noi bipedi tentenniamo fra l’eroe ed il carnefice, fra l’angelo e belzebù. Il cane è sempre lo stesso; non cambia mai come la stella polare. Sempre amoroso, paziente, e devoto fino alla morte. Ne vorreste di più, voi che non avreste cuore di distruggere neppure una tribù di cannibali?...