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482 le confessioni d’un ottuagenario.

dove sono. Qui (e accennava a me), qui c’è appunto l’illustrissimo signor avogadore, creato appunto stamane per servizio del Comune, faccia il piacere di rivolgersi a lui. Quanto a noi... noi abdichiamo nelle mani... nelle mani...

Non sapeva nelle mani di chi abdicare, ma una nuova vociata della turba lo sollevò dal peso di quella dichiarazione.

— Viva la libertà! Vivano i Francesi!... Viva il signor avogadore!... —

Il sergente volse le spalle a quei tre disgraziati, mi prese a braccetto e mi condusse giù per le scale. E mentre parte della folla restava a trastullarsi coi suoi vecchi magistrati imponendo loro la coccarda, e facendoli gridare viva questo e viva quello, un altro codazzo di popolo seguì il drappello dei Francesi, che accerchiando la mia importantissima persona si avviava all’ufficio della cassa. Lungo la via notai al sergente ch’io non aveva le chiavi, ma egli mi rispose con un sorrisetto di compassione, e cacciò gli sproni nel ventre al cavallo per fare più presto. Le porte furono sfondate da due zappatori; il sergente penetrò nella cassa, chiuse le somme ritrovatevi nella sua valigia, dichiarò che non v’erano se non quattromila ducati, e riprese il cammino verso i granaj lasciando anche là la rabbia popolare sfogarsi nei mobili e nelle carte. Sotto i granaj trovammo già pronta una lunga fila di carri, parte soldateschi, parte requisiti dalle cascine dei dintorni, e scortati da buona mano di cacciatori provenzali. Mediante l’opera di costoro, gli orzi, i frumenti, le farine, furono insaccate e caricate in brevissimo spazio di tempo; al popolo fu concesso lo spolverio delle farine che usciva dalle finestre, e nullameno esso gridava sempre. — Vivano i Francesi! Abbasso san Marco!... Viva la libertà!... —

Apprestato il convoglio, il capitano che lo dirigeva, ed avea raccolto i referimenti del sergente, mi chiamò solen-