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capitolo decimo. 481

mia autorità, spalleggiata da qualche bestemmia del sergente, giunsi ad imporre un po’ di silenzio. Il sergente allora si fece a domandare coi modi più burberi che una sovvenzione di cinquemila ducati gli fosse fatta a titolo di viaria, e che i granai rimanessero aperti in servizio della libertà e dell’esercito francese. Il popolo colse anche questo pretesto per gridare un evviva alla libertà. I tre magistrati tremavano di conserva che parevano tre arboscelli investiti dal zefiro; ma il cassiere ebbe fiato di rispondere che non avevano ordini, che se si fosse usata la forza...

— Che forza o non forza! — gli gridò minacciosamente il sergente. — Il general Buonaparte ha vinto ieri mattina una battaglia al Tagliamento; noi abbiamo sparso il nostro sangue in difesa della libertà, e un popolo libero ci negherà adesso un qualche ristoro? — I cinque mila ducati devono essere sborsati prima di un’ora, e il resto della cassa il generale comanda che lo si metta a disposizione del popolo. Quanto ai granaj, fornito che ne sia il campo a Dignano, si lascino aperti alle famiglie più bisognose. Ecco i benefici intendimenti dei repubblicani francesi!

— Vivano i Francesi! Abbasso i san Marchini! Viva la libertà! — gridava la turba infuriando nelle sale dell’ufficio, fracassando mobili, e gittando carte e scaffali fuori dalle finestre. Gli altri di fuori strepitavano con peggiori urli per la rabbia di non poter fare altrettanto. Allora mi fu meraviglioso il vedere come la paura così pressante e vicina non avesse liberato i tre magistrati dal vecchio e doveroso spavento dell’inquisizione di Stato. Tutti e tre concepirono l’uguale idea, ma il vice-capitano fu il primo che si arrischiò di esporla.

— Signore, — balbettò esso — signor ufficiale pregiatissimo, il popolo, come lei dice, è libero; noi..... noi non c’entriamo per nulla..... I granaj e la cassa si sa

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