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scritto la Basvilliana, nè le Visioni del Varano piacevano se non agli eruditi. Voi già vi beffate di me; ma vi siete accorti che questa religione dantesca, creata da me solo, giovinetto non filologo, non erudito, io me la reco a non piccola gloria. E avrete anco ragione. Ed io me ne glorio di più ancora, giacchè più che i versi, più che la poesia, amava l’anima e il cuore di Dante. Quanto alle sue passioni, erano grandi forti intellettuali, e mi piacevano in ragione di queste qualità, fatte omai tanto rare.

Tuttociò s’appicca poco a proposito col proverbio, lontan dagli occhi, lontan dal cuore; ma a Dante è piaciuto applicar quel proverbio alla fedeltà delle donne, ed io ho tirato in campo lui, ed i miei studii scervellati di sessanta anni fa, come le memorie mi venivano. Pur troppo in chi racconta la propria vita s’hanno a compatire sovente di cotali digressioni. Io poi per tirare innanzi ho proprio bisogno della vostra generosità, o amici lettori; ma su questo particolare delle mie glorie letterarie dovete usarmi indulgenza doppia, perchè le meno e le rimeno, come si dice, appunto perchè ne conosco la pochezza. I nostri grandi autori li ho piuttosto indovinati che compresi, piuttosto amati che studiati; e se ve la devo dire, la maggior parte mi allegavano i denti. Sicuro che il difetto sarà stato mio; ma pur mi lusingo che pel futuro anche chi scrive si ricorderà di esser solito a parlare, e che lo scopo del parlare è appunto quello di farsi intendere. Farsi intendere da molti, oh non è forse meglio che farsi intendere da pochi? In Francia si stampano, si vendono e si leggono più libri non per altro che per la universalità della lingua e la chiarezza del discorso. Da noi abbiamo due o tre vocabolarii, e i dotti hanno costume di appigliarsi al più disusato. Quanto poi alla logica la adoperano come un trampolo, a spiccare continui salti d’ottava e di decima. Quelli che son soliti a salire gradino per gradino restano indietro le mezze mi-