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capitolo nono. 457

Bradamante e l’Aquilina incalorivano la conversazione con quella donnesca magia che ne fa noi uomini essere doppiamente vivi, doppiamente Iesti e giocondi quando ci troviamo insieme con donne. Per me almeno fu sempre così; fuori dei colloquii obbligati a un prefisso argomento, quello che si chiama proprio il vero spontaneo e brioso chiacchierio non ho mai potuto farmelo venire in bocca trattenendomi con uomini; fossero anche amici, più naturalmente taceva se avessi nulla a dire di nuovo o d’importante, sicchè avrò anche fatto le mille volte la figura dello stupido. Ma fosse venuta a mettercisi di mezzo una donna! subito si aprivano le rosee porte della fantasia, e gli usci segreti dei sentimenti, e immagini e pensieri, e confidenze scherzose le correvano incontro ridendo, come ad una buona amica.

Notate però ch’io non ebbi mai una eccessiva facilità d’innamorarmi; e non dirò che tutte le donne mi facessero questo effetto lusinghiero, ma lo provai da parecchie, nè giovani nè belle. Bastava che un raggio di bontà o un barlume ideale splendesse loro sul viso; il resto lo faceva quella necessità che gli inferiori sentono di figurar bene dinanzi ai superiori per esserne favorevolmente giudicati. Le donne superiori a noi! Sì, fratellini miei; consentite questa strenua sentenza in bocca d’un vecchio che ne ha vedute molte. Sono superiori a noi nella costanza dei sacrifizii, nella fede, nella rassegnazione; muojono meglio di noi, ci son superiori insomma nella cosa più importante, nella scienza pratica della vita, che, come sapete, è un correre alla morte. Al di qua delle Alpi poi le donne ci son superiori anche perchè gli uomini non fanno nulla senza ispirarsi da loro: un’occhiata alla nostra storia, alla nostra letteratura vi persuada se dico il vero. E questo valga a lode e a conforto delle donne, ed anche a loro smacco in tutti quei secoli nei quali succede nulla di buono. La colpa originale è di