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406 le confessioni d’un ottuagenario.

ci credano bisogna seguirle prima perchè esse poscia vengano volentieri dietro a noi. —

Egli non mancava mai d’invitarmi a visitarlo spesso, e a favorirlo della mia compagnia a pranzo; ma se io lo accontentava della prima, non era così disposto ad approfittare della seconda parte dell’invito. Una domenica che a tutti i costi egli avea voluto trattenermi seco lui a desinare, ci trovai una tal brigata che mi fece scappar l’appetito. Una vecchia pelata e rantolosa che chiamavano la signora marchesa, un vecchio sollecitatore mezzo sbirro e mezzo prete, che beveva sempre e mi guardava traverso al bicchiere, due giovinastri rozzi, sporchi, massicci, che mangiavano colle mani e coi denti, si aggiungevano al piccolo Sant’Antonio e alla larva piagnolosa della padrona di casa, per darmi la più gran melanconia che mai avessi provato. L’avvocato invece sembrava ai sette cieli per avere d’intorno a sè una così eletta compagnia; osservai peraltro ch’egli non invitava mai il sollecitatore a bere, e i giovinastri a mangiare. Tutti i suoi eccitamenti li volgeva alla marchesa, la quale non potea più nè bere nè mangiare per la tosse che la travagliava. Il signor avvocato trinciava con una perfezione veramente matematica: e giunse a cavare otto porzioni da un pollastrello arrosto; operazione che secondo me vince di difficoltà la quadratura del circolo. Io non avea proprio volontà di toccar cibo, e cedetti la mia parte ad uno dei due giovani, che non lasciò sul piatto neppur la traccia degli ossi. L’avvocato mi avea fatto mano a mano conoscere tutti i commensali, e poi non mancò di tirarmi in un cantone per farmene la storia. La marchesa era una benemerita patrona di tutti i pii istituti della città; si diceva che fosse ricca di ottantamila zecchini, e lui, l’avvocato, era il suo consigliere prediletto. Il sollecitatore era un veneziano molto amico dell’attuale Podestà al quale faceva fare ogni cosa che gli piaceva; e così gli tornava di