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capitolo ottavo. 403

sero stati tanti di questi mediatori! Ma già parecchi se n’aveano, e il frutto ricavato cominciava a moltiplicarsi, e a manifestarsi nella parte più docile e riflessiva della gioventù. Io sarei stato fra i più benemeriti col mio ingegno, colla mia fisonomia bella e simpatica, colla mia loquela pronta e calorosa. Ne avrei avuto premio sia nella soddisfazione della coscienza (e questo è senza dubbio il migliore) sia anche negli onori temporali, e nella ricompensa eterna. Lo Stato avea bisogno di magistrati zelanti, accorti, operosi; e li avrebbe trovati in mezzo a noi. Nè bisognava rifiutarvisi, perchè la carità del prossimo e il bene della patria e della religione devono imporre silenzio alla modestia. Tutti gli uomini erano fratelli, ma il fratello più destro non dee consentire che il meno destro si precipiti alla cieca. L’amore deve essere oculato sempre, e qualche volta severo. La mano può percuotere, lo deve anzi in certi casi: ci s’intende che il cuore dee conservarsi caritatevole, indulgente, pietoso e piangere per quella trista necessità di dover castigare per migliorare, e tagliare per correggere. Oh! il cuore, il cuore! A sentire l’avvocato Ormenta, egli lo aveva così grande, così tenero, così ardente, che potea sì sbagliare per eccesso, non mai per difetto di amore.

Frattanto certe cose, che notava intorno al signor avvocato, non mancavano di darmi qualche po’ di stupore. Prima di tutto quella sua casaccia umida, scura e quasi ignuda, continuava a suscitarmi nei nervi un senso di ribrezzo come la tana della biscia. Un uomo sì aperto e leale doveva accomodarsi di quella oscurità, di quelle apparenze così nere e mortuarie! E poi durante la mia visita entrò a chiedergli non so che cosa la moglie; una donnetta sottile, piccina, sospirosa, verdognola. L’avvocato le si volse contro con una voce acerba e stonata, con un piglio più da padrone che da marito, e la donnicciuola se