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capitolo ottavo. 375

bulanti nei quali ogni costola, ogni giuntura con doloruzzi e scricchiolamenti dà indizio del cambiare del tempo.

Continuava così vagabondo e melanconico in quelle vacanze autunnali, quando un giorno che avea creduto intravedere nella Pisana una cera più benigna del solito, me le misi dietro, la seguii fuori per l’orto fin sulla strada di Fossalta, e poi avvicinandomele di soppiatto passai il mio braccio nel suo, chiedendole se mi avrebbe sopportato per compagno. Non avessi mai osato tanto! La giovinetta mi si voltò contro con tali occhi che parve mi volesse divorare; e poi volle dare sfogo alla sua bile con qualche grande ingiuria, ma la voce rimase strozzata in gola, e si morse le labbra che ne spillò il sangue fino sul mento.

— Pisana — le dissi, — per carità Pisana, non guardarmi in quella maniera! —

Ella strappò violentemente il braccio di sotto al mio, e lasciò di mordersi le labbra perchè omai la rabbia dava passo alle parole.

— Che cosa fate? che cosa mi chiedete? — rispose ella disdegnosamente. — Non siamo più fanciulli, mi pare! Ora è tempo di stare ciascuno al nostro posto, e mi maraviglio che voi, anzichè eccitarmi a dimenticare questa massima, non me la rechiate a mente quando la troppa bontà me la fa dimenticare. Già lo sapete ch’io sono bizzarra e di primo impeto; or dunque tocca a voi, freddo e ragionevole di natura, ricordarvi chi siete e chi sono io!... —

Ciò detto, ella mi volse le spalle e s’avviò verso l’ombra di alcuni salici, dove Giulio Del Ponte l’aspettava collo schioppo in ispalla. Seppi poi che si erano data la posta colà, e che l’idea ch’io la seguissi per ispiarla aveva ispirato alla Pisana quelle cattive parole. Non monta. Io ne patii allora fino in fondo all’anima. Tornai in castello che non sapeva se fossi morto o vivo; girava qua e là, su e giù