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capitolo settimo. 343

badassero bene gli amici del Venchieredo a non lasciar travedere in una soverchia benevolenza verso di questo la loro fedeltà tentennante, e le opinioni intinte forse di quelle massime sovvertitrici, che venute d’oltremonti minacciavano di rovina gli antichi e venerabili ordini di San Marco. In tempi difficili maggiore la prudenza; questo a loro norma, perchè l’Inquisizione di Stato vegliava senza rispetto per alcuno.

Il senatore, nella sua qualità di patrizio veneziano, tenea dietro con orgoglio ai diversi sentimenti di maraviglia, di dolore, di costernazione che si dipingevano in viso al cognato, mano a mano che rilevava qualche periodo di quella lettera. Finita ch’egli la ebbe il foglio gli cadde di mano, e balbettò non so quali scuse e proteste.

— State tranquillo — soggiunse il senatore raccogliendo il foglio, e mettendogli una mano sulle spalle; è un avvertimento e nulla più, ma vedete che fu quasi una grazia del cielo, che la vostra figliuola si rifiutasse a quel matrimonio. Se avesse acconsentito, a quest’ora si sarebbero già celebrate le nozze...

— No, per tutti i santi del cielo! — sclamò il conte con un gesto di raccapriccio. — Se ella le volesse ora, e se mia moglie con tutte le sue furie pretendesse di celebrarle, con due sole parole io vorrei...

— Ps, ps, — fece il Senatore. — Ricordatevi che è affare delicato. —

Il castellano rimase colla bocca aperta come il fanciullino colto in flagranti; ma poi cacciò giù qualche cosa che aveva in gola, e soggiunse:

— Insomma Dio sia benedetto che ci ha voluto bene; e siamo salvi da un gran pericolo. Mia moglie saprà che per ragioni forti, nascoste, stringentissime, di quel matrimonio non bisogna più parlarne, come d’una faccenda non mai sognata. Ella è prudente, e si regolerà!... Cospettonaccio!