Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/358


capitolo settimo. 331

In questi pensieri il reverendo padre erasi coricato; e poi tolse in mano gli opuscoli divoti del Bartoli, che erano la sua consueta lettura prima di addormentarsi. Ma quello che aveva tanto sorpreso lui, non avrebbe sorpreso me per nulla. Io aveva seguito benissimo il Venchieredo nelle fasi del suo amore per la Clara; e sfiduciato alla fine di muoverla, lo aveva veduto nelle due ultime sere accorgersi della Pisana, accostarsi a questa, e pigliar tanto fuoco in un attimo, quanto non gli si era destato in cuore in due mesi di omaggi alla sorella maggiore. Quanto rammarico io avessi per questo, ognuno se lo può immaginare, per poco che abbia capito l’indole del mio affetto per quell’ingrata. Ma ebbi campo in seguito di maravigliarmi, quando vidi la Pisana, dopo gli ossequi del Venchieredo, riprendere verso di me la sua maniera affettuosa e gentile, quale da un pezzo non la usava più che a sbalzi e quasi per sforzo di volontà. Donde proveniva questa nuova stranezza? Allora non poteva farmene ragione per nessun modo. Adesso mi par di capire che la burbanza di essa verso di me derivasse massimamente dal corruccio di vedersi trascurata come una bambina, a dispetto della sua sfrenata bramosia di piacere. E non appena la piacque a qualcuno, tornò verso di me quale era sempre stata. Anzi migliore; perchè nessuna cosa ci fa verso gli altri così buoni e condiscendenti, quanto l’ambizione soddisfatta.

Confesso la verità che senza scrupoli e senza vergogna io presi la mia parte di quell’amorevolezza; e che a poco a poco il rammarico pel trionfo del Venchieredo mi si andò mutando nel cuore in un’amara specie di gioia. Mi parve di essere omai accertato, che la Pisana non cercava negli altri nè il merito nè il piacere di essere amata, ma la novità e il contentamento della vanagloria. Perciò avea lasciato da un canto Lucilio per appigliarsi al Venchieredo, non appena la novità di questo aveva attirato