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306 le confessioni d’un ottuagenario.

che le leggeva negli occhi erano ben lontani dal consolarmi. Non sapendo con chi prendermela, non con Lucilio, perchè non s’accorgeva di ciò, non colla Pisana, perchè non la mi badava piucchè al muro, finii come l’altra volta col prendermela con me stesso. Ma il dolore, come vi diceva, se più profondo, fu anche più ragionevole; venni a patti con essolui, e lo persuasi che, anzichè cercar fomento nell’ozio e nella noia, più saggio partito era domandar distrazioni al lavoro ed allo studio. Mi misi di tutta schiena sopra Cicerone, sopra Virgilio, sopra Orazio; ne traduceva de’ gran brani, li commentava a mio modo, e scriveva di mio capo sopra temi analoghi. Insomma posso dire, che pe’ miei studii classici quel secondo peccato della Pisana mi fu più che altro giovevole. Il Piovano si diceva contentissimo di me; si congratulava col conte e col cancelliere del mio amore per lo studio, e insomma tutti godevano, tutti, meno io, di quei rapidi progressi. E non crediate mica che la fosse faccenda di ore e di giorni! la fu addirittura di mesi e di anni. Solamente vi si frapponevano i soliti respiri, le solite tregue. Ora la stagione rotta, ora le strade disfatte, ora il soverchio caldo, e la brevità delle sere, ora le gite dei Frumier ad Udine, sospendevano la frequenza dei conti di Fratta a Portogruaro. Allora risorgeva l’amore della Pisana per me, col solito corredo delle lusingherie per Sandro e per Donato: da ultimo ella sembrava accorgersi del mio malumore anche durante la sua fase di furore per Lucilio, e la mi compativa e la mi dava in elemosina qualche occhiata, e perfino anche qualche bacio. Io pigliava quello che mi davano come un vero accattone; e mi avrei lasciato pestare, premere e sputacchiare senza risentirmene. Ciò non toglie che non diventassi ogni giorno più un latinista di vaglia; e sudava e impallidiva tanto sui libri, che Martino alle volte mi diceva, che gli sarebbe quasi piaciuto di più il vedermi girare