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capitolo primo. 5

reno una più bizzarra figura; nè che avesse spigoli, cantoni, rientrature e sporgenze da far meglio contenti tutti i punti cardinali ed intermedi della rosa dei venti. Gli angoli poi erano combinati con sì ardita fantasia, che non n’avea uno che vantasse il suo compagno; sicchè ad architettarli o non s’era adoperata la squadra, o vi si erano stancate tutte quelle che ingombrano lo studio d’un ingegnere. Il castello stava sicuro a meraviglia, tra profondissimi fossati dove pascevano le pecore quando non vi cantavano le rane; ma l’edera temporeggiatrice era venuta investendolo per le sue strade coperte; e spunta di qua e inerpica di là, avea finito col fargli addosso tali paramenti d’arabeschi e di festoni, che non si discerneva più il colore rossigno delle muraglie di cotto. Nessuno si sognava di por mano in quel manto venerabile dell’antica dimora signorile, e appena le imposte sbattute dalla tramontana s’arrischiavano talvolta di scompigliarne qualche frangia cadente. Un’altra anomalia di quel fabbricato era la moltitudine dei fumaioli, i quali alla lontana gli davano aspetto d’una scacchiera a mezza partita: e certo se gli antichi signori contavano un solo armigero per camino, quello doveva essere il castello meglio guernito della cristianità. Del resto i cortili dai grandi porticati pieni di fango e di pollerie rispondevano col loro interno disordine alla promessa delle facciate; e perfino il campanile della Cappella portava schiacciata la pigna dai ripetuti saluti del fulmine. Ma la perseveranza va in qualche modo gratificata, e siccome non mugolava mai un temporale senzachè la chioccia campanella del castello non gli desse il ben arrivato, così era suo dovere il rendergli cortesia con qualche saetta. Altri davano il merito di queste burlette metereologiche ai pioppi secolari che ombreggiavano la campagna intorno al castello: i villani dicevano, che, siccome lo abitava il diavolo, così di tratto in tratto gli veniva qualche visita de’ suoi buoni compagni; i padroni