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266 le confessioni d’un ottuagenario.

correttori furono eletti, fra cui lo stesso Giorgio Pisani. Quando poi sopito quel momentaneo fermento, gli Inquisitori di Stato vennero alle vendette, e senza alcun rispetto ai decreti sovrani confinarono per dieci anni il Pisani nel castello di Verona, mandarono il Contarini a morire esule alle Bocche di Cattaro, e altri molti proscrissero e condannarono, non fu udita voce di biasimo o di pietà. Fu veduto, esempio unico nella storia, un magistrato di giustizia condannar per delitto quello che il Supremo Consiglio della Repubblica avea giudicato utile, opportuno, decoroso. E questo sopportare, senza risentirsi, lo sfacciato insulto; e lasciar languenti nell’esilio e nelle carceri coloro ai quali avea commesso l’esecuzione dei proprii decreti, era, come si direbbe, un segno dei tempi. Cotale era l’ordinamento politico, tale la pazienza del popolo veneziano. In verità, piuttostochè vivere a questo modo, o per accidente, come diceva il serenissimo doge, sarebbe stata opera più civile, prudente insieme e generosa, l’arrischiar di morire in qualunque altra maniera. Di questo passo si toccò finalmente il giorno, nel quale la minaccia di novità suonò con ben altro frastuono che colla debole voce di alcuni oratori casalinghi. Il dì medesimo che fu decretata a Parigi la convocazione degli Stati generali, il 14 luglio 1788, l’ambasciatore Antonio Cappello ne significò al doge la notizia: aggiungendo considerazioni assai gravi sopra le strettezze nelle quali la Repubblica poteva incorrere, e i modi più opportuni da governarla. Ma gli eccellentissimi Savii gettarono il dispaccio nella filza delle comunicazioni non lette; nè il Senato ne ebbe contezza. Bensì gl'inquisitori di Stato raddoppiarono di vigilanza; e cominciò allora un tormento continuo di carceramenti, di spionaggi, di minaccie, di vessazioni, di bandi, che senza diminuire il pericolo ne faceva accorgere l’imminenza, e manteneva insieme negli animi una diffidenza