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capitolo quinto. 255

figliuolo di Fulgenzio!... Lo spaventeremo, e ci darà le chiavi per farci uscire comodamente, altrimenti... —

Povero Noni! pensai io al vedere il gesto minaccioso con cui il sicario interruppe il lavoro. Quella bragia coperta di Noni non mi era mai andato a sangue, massime per lo spionaggio ch’egli esercitava malignamente a danno mio e della Pisana; ma in quel momento dimenticai la sua cattiveria, com’anche avrei dimenticato l’invidia e malignità di suo fratello Menichetto. La compassione fece tacere ogni altro sentimento, d’altra parte la minaccia toccava anche me, se avessero sospettato che li osservava pei fori dell’assito; e avvezzo già alle spedizioni avventurose sperai anche in quella notte di darmi a divedere un personaggio di proposito. Apersi pian pianino l’uscio del mio buco, e penetrai a tentone nella camera di Martino. Non volendo nè arrischiando parlare, spalancai le finestre in modo che entrasse un po’ di luce perchè la notte era chiarissima: indi mi avvicinai al letto, e presi a destarlo. Egli saltava su di soprassalto gridando chi era, e cosa fosse, ma io gli chiusi la bocca colla mano e gli feci cenno di tacere. Fortuna che egli mi conobbe subito; laonde così a cenni lo persuasi di seguirmi e condottolo fin giù sul pianerottolo della scala gli diedi contezza della cosa. Il povero Martino faceva occhi grandi come lanterne.

— Bisogna destare Marchetto, il signor conte, e il cancelliere — diss’egli pieno di sgomento.

— No, basterà Marchetto; — osservai io con molto giudizio — gli altri farebbero confusione.

Infatti si destò il cavallante, il quale entrò nel mio disegno che bisognava far le cose alla muta senza baccani e senza molta gente. Il foro dietro cui lavoravano i cappuccini dava nell’archivio della cancelleria, che era una cameraccia scura al terzo piano della torre, piena di carte, di sorci e di polvere. Il meglio era appostar colà due uomini fidati e ro-