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quante ore di spavento e d’incertezza! fors’anco qualche disgrazia meno immaginaria. Il solo Lucilio non si congiunse al giubilo e all’ammirazione comune; forse lo scioglimento non gli quadrava, e l’avrebbe voluto derivare dovunque fuorchè dalla parte per la quale era venuto. Tuttavia era troppo giusto ed accorto per non mascherare questo spropositato sentimento d’invidia; e fu egli il primo che richiese al Partistagno del modo e della fortuna che l’aveva menato a quella buona opera. Il Partistagno raccontò allora com’egli fosse venuto quella sera per la solita visita al castello, ma un po’ più tardi del consueto pel riparo di alcune arginature che l’ebbero trattenuto a San Mauro. Gli sgherri di Venchieredo gli aveano proibito di entrare, ed egli avea fatto un gran gridare contro quella soperchieria, ma non ne avea cavato nulla; e alla fine vedendo che le chiacchiere non contavano un fico, ed accorgendosi che quel gridare al contrabbando era una copertina a Dio sa quali diavolerie, s’era proposto di partire e tornar alla carica con ben altri argomenti che le parole.

— Perchè io non sono un prepotente di mestiere — soggiunse il Partistagno; — ma all’uopo anch’io posso qualche cosa e so farmi valere. — E ciò dicendo mostrava tesi i muscoli dei polsi; e faceva digrignare certi denti acuti e sottili, che somigliavano quelli del leone.

Infatti era tornato di galoppo a San Mauro, e là, raccoltivi alcuni suoi fidati, nonchè molte cernide di Lugugnana che stavano ancora a lavoro sopra l’argine, s’era ravviato verso Fratta. Eravi giunto proprio nel momento che la torre veniva occupata, per sorpresa, da quattro bravacci; ond’egli sgominati prima assai facilmente gli ubriachi che armeggiavano sulla piazza e nell’osteria, si mise a guadare la fossa con parecchi de’ suoi. Con qualche fatica guadagnarono l’altra riva, senzachè coloro che aveano occupato la torre si dessero cura di ributtarli, intesi com’erano a scas-