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capitolo quinto. 241

La signora Veronica poi si sforzava, rimproverandogli sommessamente la sua dappocaggine; ed egli rispondeva che non era il suo mestiero quello di affrontare i ladri, ma che se si fosse trattato di vera guerra guerreggiata lo avrebbe veduto al suo posto.

— Giovinastri, giovinastri! — sclamò il valentuomo stirandosi le gambe. — La trinciano da eroi, perchè hanno l’imprudenza di sfidare una palla facendo capolino dai merli. Eh mio Dio, ci vuol altro!... Veronica, non uscir mica di camera sai!... Io voglio difenderti come il più gran tesoro che abbia!

— Grazie, — rispose la donna — ma perchè non vi siete svestito?

— Svestirmi! vorreste che mi svestissi con quella giuggiola di tempesta che abbiamo alle spalle!... Veronica, sta’ sempre vicina a me... Chi vorrà offenderti dovrà prima calpestare il mio cadavere.

Costei si gettò anch’essa, vestita com’era, sul letto; e da coraggiosa donna avrebbe anche pigliato sonno, se il marito ad ogni mosca che volava non fosse sobbalzato tant’alto, domandandole se avea udito nulla, ed esortandola a confidare in lui, e a non allontanarsi dal suo legittimo difensore.

Intanto da basso una discreta cena, improvvisata con ova e braciuole, avea calmato gli spasimi dei due monsignori, e rimessili con tutta l’anima alla paura, s’interrogavano l’un l’altro sul numero e sulla qualità degli assalitori: eran cento, eran trecento, eran mille; tutti capi da galera, il migliore de’ quali era fuggito al capestro per indulgenza del boja. Se gridavano al contrabbando, si era per trovare pretesto ad un saccheggio; a udirli urlare e cantare sulla piazza, dovevano essere ubriachi fradici, dunque non bisognava aspettarsi da loro nè ragionevolezza nè remissione. Il resto della compagnia faceva tanto d’occhi a questi ra-