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capitolo quinto. 235

— Zitti, silenzio! — mormorò egli con un filettino di voce. — Qui presso vi ha una guardia, e non vorrei che origliasse i nostri discorsi. —

Intendeva quella guardia ch’era rimasta sola, dopochè il compagno s’era messo per guida di Lucilio e della contessina. Ma la solitudine è alle volte una triste consigliera, e la guardia, dopo una valorosa difesa durata per più di mezz’ora, avea finito col rimaner vinta dal sonno. Perciò Lucilio ed io potevamo parlare in piena sicurezza che nessuno ci avrebbe incomodati.

— Accostamiti all’orecchio, e dimmi se esci dal castello, e cosa c’è di nuovo là dentro; — mi bisbigliò egli all’orecchio.

— C’è di nuovo che hanno una paura da olio santo; — risposi io — che hanno buttato giù i ponti pel timore di essere ammazzati dai buli di Venchieredo, che si è perduta la signora Clara, e che dall’avemmaria ad ora hanno già detto due rosarii. Ma adesso hanno mandato fuori me perchè fiuti l’aria, e cerchi conto della contessina, e torni poi a recar loro le novelle.

— E cosa penseresti di fare, piccino?

— Capperi! cosa penso di fare!... Andare all’osteria fingendo di essermi smarrito come mi è accaduto quell’altra volta, se ne ricorda? quella volta della febbre; e poi ascoltare quello che dicono gli sbirri, e poi domandar della contessina a qualche contadino, e poi tornare fedelmente per dove sono venuto, scavalcando il fosso sopra una tavola.

— Sai che sei proprio uno spiritello? Non ti credeva da tanto. Peraltro consòlati che la fortuna ti risparmia de’ bei fastidii. Io sono stato all’osteria, io ho condotto in salvo al mulino la contessina Clara, e se m’insegni il modo di entrare in castello, potremo portar loro la risposta in compagnia.