Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/258


capitolo quinto. 231

ressi della Signoria. Intanto, Clara mia, sta’ in pace e dormi sicura; domattina, se non saranno venuti dal castello a prenderti, verrò io stesso; e chi sa anche che non capiti durante la notte se ci son cose pressanti.

— Oh ma voi!... non arrischiatevi per carità! — mormorò la giovinetta.

— Sai come sono, — rispose Lucilio. — Non potrei far a meno di movermi e di tentar qualche cosa, se anche si trattasse di gente sconosciuta. Figurati poi ora che è in ballo la tua famiglia, la nostra buona vecchia!

— Povera nonna! — sclamò la Clara. — Sì, va’ va’, e confortala e torna subito a chiamare anche me, che starò qui ad aspettare col cuore sospeso.

— Ti dico che tu devi coricarti, e che chiamerò qualcheduna delle donne, — soggiunse Lucilio.

— No, lasciale dormire, chè io non potrei; — replicò la donzella. — Oh, mi maraviglio con me, e quasi mi vergogno, di poter rimanere qui, e di non correre fuori anch’io.

— A che fare? — soggiunse Lucilio. — No per carità, non ti muovere da questo luogo. Anzi devi rinchiuderti bene, giacchè essi sono tanto sconsigliati da lasciar le porte spalancate fino a mezza notte!... Marianna, Marianna! — si mise a gridare il giovane affacciandosi alla porta della scala.

Di lì a poco rispose dall’alto una voce, e poi lo scalpitare di due zoccoli, e non passò un minuto che la Marianna tutta scollata e sbracciata scese in cucina.

— Dio mi perdoni! — sclamò ella raccogliendosi la camicia sul petto — credeva che fosse il mio uomo!... È lei, signor dottore?... E anche la contessina!... Oh diavolo! cos’è stato? Da qual parte son venuti dentro?

— Capperi! da quelle quattro braccia di porta spalancata! — rispose Lucilio. — Ma ora non è tempo da ciarle