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216 le confessioni d’un ottuagenario.

non ha cervello, chi ha cervello non ha cuore, chi ha cuore e cervello non ha autorità. Dio sta sopra di noi, e lo dicono giusto e veggente. Noi figliuoli di Dio, ciechi, ingiusti ed oppressi, colla voce, cogli scritti, colle opere lo neghiamo ad ogni momento. Neghiamo la sua provvidenza, la sua giustizia, la sua onnipotenza! — È un dolore vasto come il mondo, duraturo quanto i secoli, che ci sospinge, ci incalza, ci atterra; e un giorno alfine ci fa risovvenire che siamo eguali, tutti, ma solo nella morte!...

— Nella morte, nella morte!! dica nella vita, nella vera vita che durerà sempre! — sclamò come inspirata la Clara; — ed ecco dove Dio risorge, e torna ad aver ragione sulle contradizioni di quaggiù.

— Dio dev’essere dappertutto, — soggiunse Lucilio con una tal voce, nella quale un divoto avrebbe desiderato maggior calore di fede. Ma la Clara non ci vide entro nessun dubbio in quelle parole, ed ei ben sel sapeva che sarebbe stato così; giacchè altrimenti non avrebbe parlato.

— Sì, Dio è dappertutto! — riprese ella con un sorriso angelico, màndando gli occhi per ogni parte del cielo — non lo vede, non lo sente, non lo respira dovunque? — I buoni pensieri, i dolci affetti, le passioni soavi, donde ci vengono se non da lui?... Oh io lo amo, io lo amo il mio Dio, come fonte di ogni bellezza e di ogni bontà!

Se mai vi fu argomento che valesse a persuadere un incredulo d’alcuna verità religiosa, fu certo l’aria divina che si diffuse in quel momento sulle sembianze di Clara. L’immortalità si stampò a carattere di luce su quella fronte confidente e serena, nessuno certo avrebbe osato dire che in tanto prodigio d’intelligenza, di sentimento e di bellezza, la natura avesse provveduto soltanto ad ammannire un pascolo ai vermi. Vi sono, sì, faccie morte e petrigne, sguardi biechi e sensuali, persone gravi, curve, striscianti, che possono accarezzare col loro sucido esempio le spaventose