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uscì per adempiere all’incarico ricevuto. Un quarto d’ora dopo le comunicazioni del castello di Fratta col resto del mondo erano intercettate affatto, e il conte e la contessa respirarono di miglior voglia. Solamente monsignor Orlando, che pur non era un eroe, s’arrischiò di mostrare qualche inquietudine sulla difficoltà di procacciarsi la solita quantità di manzo e di vitello per l’indomane. Il signor conte, udite le rimostranze del fratello, ebbe campo di mostrare l’acume e la prontezza del suo genio amministrativo.

— Fulgenzio, — diss’egli con voce solenne — quanti neonati ha la vostra scrofa?

— Dieci, Eccellenza — rispose il sagrestano.

— Eccoci provveduti per tutta la settimana — riprese il Conte — giacchè pei due giorni di magro provvederà la peschiera.

Monsignor Orlando sospirò angosciosamente ricordando le belle orade di Marano, e le anguille succolenti di Caorle. Ohimè, cos’erano a paragone di quelle i pesciolini pantanosi e i ranocchi della peschiera?

— Fulgenzio, — proseguì intanto il conte — farete ammazzare due dei vostri porcellini; l’uno per l’allesso e l’altro per l’arrosto: avete inteso Margherita?

Fulgenzio e la cuoca s’inchinarono alla lor volta; ma sospirare toccò allora a monsignor di Sant’Andrea, il quale per un suo incomodo intestinale non potea digerire la carne porcina, e quella prospettiva di una settimana d’assedio con un simile regime non gli andava a sangue per nulla. Senonchè la contessa, che gli lesse questo scontento in viso, s’affrettò ad assicurarlo che per lui si sarebbe messa a bollire una pollastra. La fisonomia del canonico si rischiarò tutta d’una santa tranquillità; e con un buon pollaio anche una settimana d’assedio gli parve un moderatissimo purgatorio. Allora, dato ordine al rile-