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capitolo quarto. 105


nuovo rifugio dell’ospite armonioso, ma cercando qua e là ecco che i suoi sguardi capitarono a trovare più assai che non cercavano. — Oh perchè non fui io l’innamorato della Doretta! Vecchio come sono, scriverei una tal pagina da abbacinare i lettori, e prendere d’assalto uno dei più alti seggi della poesia! Vorrei che la gioventù profilasse i disegni, il cuore vi spandesse le tinte; e che gioventù e cuore splendessero per ogni parte della pittura con tanta magia, che i buoni per tenerezza, e i cattivi per invidia riporrebbero il libro. Povero Leopardo! tu solo saresti da tanto; tu che per tutta la vita portasti dipinto negli occhi e scolpito nel petto quello spettacolo d’amore. Ed anche ora la vaga memoria delle tue parole mi traluce al pensiero così amorosa ed innocente, che io non posso senza pianto vergar queste righe.

Egli cercava adunque l’usignolo, e vide invece seduta sul margine del ruscelletto, che sgorga dalla fontana, una giovinetta che vi bagnava entro un piede, e coll’altro ignudo e bianco al pari d’avorio disegnava giocarellando circoli e mezze curve intorno alle tinchiuole che guizzavano a sommo d’acqua. Ella sorrideva, e batteva le mani di quando in quando, allorchè le veniva fatto di toccare colla punta del piede e sollevar dall’acqua alcuno di quei pesciolini. Allora la pezzuola che le sventolava scomposta sul petto s’apriva a svelare il candore delle sue spalle mezzo ignude, e le sue guancie arrossavano di piacere, senza perdere lo splendore dell’innocenza. I pesciolini non ristavano perciò dal tornarle vicini dopo una breve paura; ma ella aveva in tasca il segreto di quella familiarità. Infatti poco stante tuffò cheto cheto nel ruscello anche quel piedino sollazzevole, e cavata di sotto al grembiule una mollica di pane, si diede a sfregolarne le briciole pei suoi compagni di trastullo. L’era un andare, un venire, un correre, un guizzare, un gareggiare e un rubarsi a vicenda di tutta