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162 le confessioni d’un ottuagenario.

andava più innanzi d’un passo di formica; e quanto al lasciarsi convincere, Leopardo aveva tutta l’arrendevolezza d’un turco fanatico. Ma di cotanta tenacità era forse ragione bastevole l’essersi egli maturato nella solitudine e nel silenzio: i pensieri nel suo cervello non s’insaldavano colla fragile commettitura d’un innesto, ma colle mille barbe d’una radice quercina, cresciuta lentamente prima di germogliare o di dar frutto. Ora sopra un innesto sfruttato attecchisce un altro innesto; ma le radici o non si spiantano, o spiantate disseccano: e Leopardo aveva la testa informata in modo, che non la potea reggere sul collo che ad un magnanimo o ad un pazzo. — O così o nulla. — Ecco il significato formale e il motto araldico della sua indole. Leopardo visse beatamente fino a ventitrè anni senza fare o soffrire interrogazioni da chicchessia. I precetti dei genitori e dei maestri collimavano così finitamente colle sue viste che nè a lui era mestieri domandare a loro, nè ad essi domandar nulla a lui. Ma l’origine di tutti i guai fu la fontana di Venchieredo. Dopo che egli prese a bere l’acqua di quella fontana, cominciò da parte di suo padre il martello delle interrogazioni, dei consigli e dei rimbrotti. Siccome poi tutti questi discorsi non secondavano per nulla i pensieri di Leopardo, così egli si diede per parte sua a ruggire ed a guardare in cagnesco. Allora, direbbe Sterne, l’influsso bestiale del suo nome prese il disopra; e se è così, al signor Antonio dovrebbe esser costata piuttosto cara la sua passione per le bestie.

Mettiamo ora un po’ in chiaro questo indovinello. — Tra Cordovado e Venchieredo, a un miglio dei due paesi, v’è una grande e limpida fontana, che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. Ma la ninfa della fontana non credette fidarsi unicamente alle virtù dell’acqua per adescare i devoti, e si è ricinta d’un così bell’orizzonte di prati, di boschi e di cielo, e