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134 le confessioni d’un ottuagenario.

Finalmente il sangue fu stagnato, e la vanerella insuperbiva di vedermi tanto beato come era di quelle sue carezze.

— Son venuta su allo scuro tastando le muraglie; — la mi disse: — ma da basso sono a cena, e non avea paura che mi scoprissero. Ora poi che ti ho guarito, mi tocca scendere ancora perchè non mi trovino per le scale.

— E se ti trovassero?

— Oh bella! faccio le viste di sognare!

— Sì; ma mi dispiace quasi, che tu arrischi così di buscarti dalla mamma qualche gastigo.

— Se dispiace a te, a me non importa, anzi mi piace; — ella rispose con un atto di vezzosa superbietta, squassando la testa all’indietro, per liberarsi la fronte dai capelli disciolti che l’avevano ingombra. — Vedi! tu mi piaci più di tutto, e quando poi non hai indosso quella giubbaccia, come sei ora, il mio Carlino, che ti veggo proprio tal qual sei; mi piaci tre volte tanto!.... Oh! perchè non ti mettono le belle cose che aveva oggi intorno mio cugino Augusto!....

— Oh me ne procurerò di quelle belle cose! — io esclamai. — Le voglio ad ogni costo!

— E dove le prenderai? — mi chiese di rimando.

— Dove, dove!.... lavorerò per guadagnar danari, e coi danari, dice Germano, che si può aver tutto.

— Sì, sì lavora lavora! mi disse la Pisana. — Io allora ti vorrò bene sempre più! Ma perchè non ridi ora?.... Eri tanto allegro poco fa!

— Vedi un po’ se rido? — soggiunsi io giungendo la mia bocca alla sua.

— No, così non ti posso vedere!.... Via, lasciami! Voglio guardarti se ridi. Hai capito che ho detto di volerti guardare? —

Io la accontentai, e feci anche prova di riderle colle