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96 le confessioni d’un ottuagenario.

ad udirla sovente con quella attenzione che somiglia stupore, dà indizio d’un gratissimo piacere e quasi d’un melodioso solletico prodotto nell’animo dalle parole altrui. Benchè egli poi fosse d’un temperamento chiuso e riserbato, nel ragionare con lei s’incaloriva per non volontaria ingenuità, e non si schivava dal parlare di sè e delle proprie cose, come ad una madre. Nessuno, a credergli, soffriva al pari di lui d’esser orfano, giacchè la moglie del dottor Sperandio gli era morta nel puerperio di quell’unico figliuolo; onde sembrava cercar conforto al dolore d’una tale mancanza, nell’affetto quasi materno che gli inspirava la nonna di Clara. A poco a poco la vecchia s’avvezzò alla cordiale dimestichezza di quel giovine; lo facea chiamare anche se non aveva bisogno del medico; ascoltava da lui volentieri le novelle della giornata, e compiacevasi di trovarlo differente d’assai dai giovinastri che frequentavano il castello. Veramente Lucilio meritava una tal distinzione; aveva letto molto, s’era preso di grande amore per la storia, e siccome sapeva che ogni giorno è una pagina negli annali dei popoli, teneva dietro con premura a que’ primi segni di sconvolgimenti che apparivano sull’orizzonte europeo. Gli Inglesi non erano allora troppo ben veduti dal patriziato veneziano; forse per la stessa ragione che il fallito non può guardar di buon occhio i nuovi padroni dei suoi averi. Perciò egli magnificava sempre le imprese degli Americani e la civile, grandezza di Washington, che aveva sciolto dalla soggezione dei Lordi tutto un nuovo mondo. L’inferma lo udiva volentieri narrar casi e battaglie che volgevano sempre alla peggio degli Inglesi, e s’univa con lui in un caldo entusiasmo per quel patto federale, che avea loro tolto per sempre il possesso delle colonie Americane. Quando poi egli parlava a labbra strette delle vicende di Francia, e dei ministeri che vi si sbalzavano l’un l’altro, e del Re che non sapeva più a qual partito appigliar-