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che quel rossore proveniva più che altro dal timore, che non fosse di gretta superbia il pensiero che in quei momenti le attraversava la mente. Ma monsignore come avrebbe potuto capire o sospettar tuttociò? — Lo ripeto. Io aveva nove anni ed egli sessanta sonati; egli canonico in sarrocchino e in calze rosse, io quasi trovatello scamiciato e senza scarpe; e con tutto questo ad onta che egli si chiamasse Orlando ed io Carlino, io di mondo e di morale me n’intendeva più di lui. Gli era il teologo più semplice del clero cattolico; ne metto la mano sul fuoco.

Intorno a quel tempo le visite al castello di Fratta, massime de’ giovani di Portogruaro e del territorio, si facevano più frequenti. Non era più questo un privilegio delle domeniche o delle sere delle vendemmie, ma tutto l’anno, anche nel verno più crudo e nevoso, capitava a piedi a cavallo, coll’archibugio in ispalla e il Canaletto appeso in punta, qualche coraggioso visitatore. Non so se la contessa si attribuisse l’onore di attirar quelle visite; certo si dava molto attorno per far la vispa e la graziosa. Ma in onta alle attrattive della sua età rispettabile e più che matura, gli occhi di quei signorini erano molto svagati finchè non capitasse a concentrarli in sè il visetto geniale della Clara. Il Vianello di Fossalta come il più vicino era anche il più assiduo; ma anche il Partistagno non gli cedeva di molto, benchè il suo castello di Lugugnana fosse sulla marina ai confini della pineta, un sette miglia buone lontano da Fratta. Questa lontananza forse gli dava il diritto di anticipar le sue visite; e molte volte si combinava ch’egli capitasse proprio nel punto che la Clara usciva per incontrare la mamma nella passeggiata. Allora voleva la convenienza ch’egli le fosse compagno, e Clara vi accondiscendeva cortesemente, benchè i modi aspri e risoluti del giovine cavaliere non s’attagliassero molto a’ suoi gusti. Quando finiva il gioco, la contessa non mancava mai d’in-