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capitolo secondo. 85

al vento che spira. Vien poi l’ora di raccoglier le vele nel porto; e il loro arrivo è necessariamente un naufragio. — O s’affidano a guide fallaci, alleate delle loro passioni, e bevono con compunzione lagrime spremute dagli occhi altrui: o cancellano la vita dello spirito, non sapendo che lo spirito si ridesta quandochessia a patire, tutti in una volta, i dolori che dovevamo preparargli la strada alla morte. Meglio la fede anche ignorante, che il nulla vuoto e silenzioso. Vi sono ora leggiadre donzelle e giovanotti di garbo le cui mire son tutte volte ai godimenti materiali: le comodità, le feste, le pompe sono loro solo desiderio; sola cura il danaro che provvede d’un lauto e perenne pascolo quei desiderii: perfino il loro spirito non cerca qualche nutrimento che per farsene bello agli occhi della gente, e non provar gl’incomodi di dover arrossire. Del resto la mente di costoro non conosce diletti che sieno veramente suoi. Domandate ad essi se vorrebbero essere stati o Scipioni, o Dante o Galileo; vi risponderanno che gli Scipioni e Dante e Galileo sono morti. Per loro la vita è tutto. Ma quando dovranno abbandonarla? — Non vogliono pensarci! — Non vogliono, dicono essi; io soggiungo che non possono, che non osano. E se l’osassero avrebbero a scegliere fra la pistola, suicidio del corpo, e il fastidio della vita, suicidio dell’anima. Questo è il destino dei più forti o dei più sventurati. La fede a’ suoi tempi era almeno una idealità, una forza, un conforto; e chi non aveva il coraggio di soffrire cercando e aspettando, avea la fortuna di sopportare credendo. Ora la fede se ne va, e la scienza viva e completa non è venuta ancora. Perchè dunque glorificar tanto questi tempi che i più ottimisti chiamano di transizione? Onorate il passato ed affrettate il futuro; ma vivete nel presente coll’umiltà e coll’attività di chi sente la propria impotenza, e insieme il bisogno di trovare una virtù. Educato senza le credenze del passato e senza la fede nel futuro, io cer-