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Erminia sotto le piante ombrose, e la seguiva nei placidi alberghi dei pastori; s’addentrava con Angelica e con Medoro a scriver versi d’amore sulle muscose pareti delle grotte, e delirava anche talora col pazzo Orlando, e piangeva di compassione per lui. Ma soprattutto le vinceva l’animo di pietà la fine di Brandimarte, quando l’ora fatale gli interrompe sul labbro il nome dell’amante, e sembra quasi che l’anima sua passi a terminarlo e a ripeterlo continuamente nella felice eternità dell’amore. Addormentandosi dopo questa lettura, le pareva talvolta in sogno di essere ella stessa la vedova Fiordiligi. Un velo nero le cadeva dalla fronte sugli occhi e giù fino a terra; come per togliere agli sguardi volgari la santità del suo pianto inconsolabile; un dolore soave, melanconico, eterno le si diffondeva nel cuore come un eco lontano di flebile armonia, e dalla sostanza più pura di quel dolore emanava come uno spirito di speranza, che troppo lieve ed etereo per divagar presso terra spaziava altissimo nel cielo. — Erano fantasie o presentimenti? — Ella non lo sapeva; ma sapeva veramente che gli affetti di quella sognata Fiordiligi rispondevano appuntino ai sentimenti di Clara. Anima chiusa alle impressioni del mondo, erasi ella serbata come l’aveva fatta Iddio in mezzo alle frivolezze, alle scurrilità, alle vanaglorie che l’attorniavano. E le divote credenze e i miti costumi di sua nonna, appurati dalle meditazioni serene della vecchiaja, si rinnovavano in lei con tutta la spontaneità ed il profumo dell’età virginale. Nella prima infanzia ell’era sempre rimasta a Fratta, fida compagna dell’antica inferma. Sembrava fin d’allora il rampollo giovinetto di castagno, che sorge dal vecchio ceppo rigoglioso di vita. Quella dimora solitaria l’aveva preservata dal vizioso consorzio delle cameriere, e dagli insegnamenti che potevano venirle dagli esempi di sua madre. Viveva nel castello semplice, tranquilla e innocente, come la passera che vi ce-