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Il «Loutis». 205

— Perdonami, signore, — disse il gigante.

— Anzi parliamone, — disse Hossein incrociando le braccia. — Metti a cucinare gli zamponi prima.

— È fatto, signore — rispose il gigante sbarazzando rapidamente la buca dai tizzoni mezzi consunti e collocando sulle ceneri calde i due prosciutti dell’orso.

Riempì la buca di terra e vi accese sopra una bracciata di rami onde il calore si conservasse sotto.

— Ed ora padrone? — disse.

— Penso a Talmà! — rispose Hossein. — Che cosa mi consigli di fare?

— Uccidere tuo cugino, signore. — È lui che ha pagato le Aquile, ne sono ormai sicuro; è lui che ha tramato tutto, è lui che ha cercato di assassinarci.

Uccidilo senza pietà, senza misericordia!... Se non lo farai tu, giuro sul mio kangiarro, che lo farò io!... Parola di Tabriz!

A te sono sfuggiti certi sospetti che avevano colpito me e tuo zio.

— Il beg?...

— Sì, anche lui si era accorto indubbiamente di qualche cosa, perchè prima che noi lasciassimo la steppa, mi incaricò di sorvegliare Abei.

— Lui!...

— Sì, lui.

— Vuoi farmi impazzire, Tabriz?

— No, ti apro gli occhi. D’altronde forse che non abbiamo le prove che egli ha tentato di assassinarci? Che per maggior sicurezza ti aveva messo dei documenti compromettenti nella fascia? Che cosa vuoi di più? Da un simile uomo si può anche aspettarsi che fosse d’accordo colle Aquile.

— Tabriz, bisogna che l’uccida! — ruggì Hossein.

— Sono del tuo parere, signore.

— Ma di Talmà che cosa sarà successo? — gridò il povero giovane, prendendosi disperatamente la testa fra le mani. — È questo che io vorrei sapere. —

Tabriz stava per aprire le labbra ed esprimere forse qualche terribile sospetto, poi subito le rinchiuse. Certo non osava dire quello che pensava riguardo la sorte di Talmà.

— Dimmi qualche cosa, Tabriz, — disse Hossein.