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L’assalto di Kitab. | 139 |
resistenza agli obici russi, sicchè, verso le sette del mattino, i pezzi istallati sulla torre di Ravatak erano ridotti al silenzio e una grande breccia era già stata aperta nella muraglia.
I cacciatori del Turchestan cominciavano a uscire dal burrone, marciando all’assalto su due colonne.
— Tabriz, — disse Hossein che non aveva cessato di far giuocare contro il nemico i falconetti, credo che tutto stia per finire. I Shagrissiabs, non resisteranno dieci minuti all’ultimo attacco.
— Tale è anche la mia opinione, signore, — rispose il gigante, la cui fronte si era rannuvolata. — Questi uomini non valgono quelli della steppa. Hanno troppa paura delle baionette dei moscoviti.
— Come finirà quest’avventura?
— Male di certo se non filiamo più che in fretta, cugino, tanto più che non abbiamo più nulla da fare qui, — disse una voce dietro di lui.
— Che cosa vuoi tu dire, Abei? — chiese Hossein, voltandosi verso il cugino.
— Che ho saputo or ora e per bocca di Baba-beg, che Talmà non si trova più qui, — rispose il nipote del beg.
— Hai detto? — gridò Hossein.
— Che i banditi l’hanno portata, prima che i russi giungessero, fra le montagne di Kasret-Sultan.
— E quel furfante non ce lo ha detto prima?
— Pare che non lo sapesse.
— Invece è stato zitto per valersi dei nostri cinquanta cavalieri! — disse Tabriz.
— Può darsi, — rispose Abei.
— Che cosa fare, Tabriz? — chiese Hossein.
— Mi pare che non ci rimanga che una cosa sola, signore, rispose il gigante.
— Di andarcene prima che i russi diano l’assalto?
— Sì, mio signore. I Moscoviti non hanno, a quanto sembra, forze sufficenti per circondare tutta la città e penso che noi potremmo uscire senza troppe molestie dalla porta di Rachid.
Da quella parte non odo a tuonare il cannone, ciò indica che il nemico non si è ancora mostrato.
— È una defezione la nostra, — disse Hossein.