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DISCORSO PRELIMINARE

la guerra con Pisa del 62; la quale descrisse, con minuzia di cronista e talvolta con ardor più che di rimatore, in sette cantari d’ottava rima: compendiò in terzetti la cronaca del Villani nel suo Centiloquio. Dovea questo prolungarsi a cento canti: ma trovandosi vecchio nel 1375 l’abbandonò al novantunesimo: «contento Perch’io la veggio (Firenze) riposata in pace E veggiole recate al suo mulino Di molte terre, onde molto mi piace... E veggio Pisa con Firenze in gioia, E Lucca in libertade: laond’io Poco mi curo omai perch’io mi muoia, Poi che acquistato ha tanto al tempo mio»1. Nè se ne hanno altre notizie.

E per la guerra pisana del 62 è scritto il sonetto di Filippo de’ Bardi: del quale nulla più si ha o si conosce. — La lingua e lo stile d’Adriano de’ Rossi, che è quello stesso del Pucci e del Sacchetti, ce lo fa credere vissuto verso quei tempi (1380 c.). Delle cose di lui vedute dal Crescimbeni «la più parte sono burlesche e satiriche, di buona forza e maniera». E il sonetto da noi riportato rammenta la novella LXXVII del Sacchetti.

«Vivo fonte gentil del bel parlare» era questi salutato dall’amico suo Pucci: e niuno in vero meglio del Sacchetti fece ritratto sì in prosa che in versi della favella franca spigliata potente del popolo fiorentino libero. Di men facile vena che l’amico suo campanaio, il cittadino del primo cerchio, di puro sangue romano, procede nella sua raccoltezza più efficace e talvolta più elegante. Poco riuscì nella lirica amatoria del tenore petrarchesco: fu singolare nelle ballate, nelle quali segnò meglio d’ogni altro e primo il passaggio dalla lirica elegiaca del Cavalcanti al famigliare e scherzoso del Medici. Fe buona prova nel poemetto tra imaginoso e burlesco, tra cavalleresco e satirico, della Guerra delle Donne: ottima nella poesia politica, dove, senza lasciare il carattere borghese, si leva tal volta allo sdegno eloquente dell’Alighieri. Descrittore egregio di costumi nelle novelle, fu satirico egregio in alcune poesie, cittadino ot-

  1. A. Pucci: Centiloquio, cap. CXI; in Delizie degli eruditi (Firenze, 1772). vol. VI.